Una passione bruciante

di Mamma Oca

Gentilissimo Direttore del quotidiano La voce dell’orto, vorrei rendere partecipi i suoi lettori della singolare vicenda che mi vide protagonista qualche tempo fa, nella speranza di riuscire a infondere fiducia e conforto in quelle verdure depresse e infelici che giornalmente le espongono i loro disgraziatissimi casi. Tutti sappiamo che la nostra non è una vita delle più facili, ma non bisogna lasciarsi abbattere dalle avversità: quando per me ogni via di salvezza sembrava perduta, è stato allora che ho trovato la felicità. Ecco com’è andata.
      Mi trovavo esposto su un banco di mercato. Poco distante, avevano collocato un cesto colmo di Rape. Tra di loro ne adocchiai subito una, deliziosa nel suo abituccio bianco e con in testa il più bel pennacchio verde che avessi mai visto. Io di Rape me ne intendo, perché giusto ai confini del campo dove crescevo baldanzoso (tutti concimi naturali), se ne stendeva uno di Rape. Lei di certo proveniva da lì, e con ogni probabilità dovevamo la nostra vicinanza al fatto di esser stati colti nello stesso giorno. In altra occasione, sarei stato al settimo cielo, ma al presente la nostra sorte era delle più disgraziate. Schiavi, ecco cos’eravamo: degli schiavi messi in vendita. E dopo, quale orrendo destino ci attendeva!
     Mentre ero immerso in queste cupe riflessioni, la mia cara Rapa fu afferrata, pesata e ficcata in un antro oscuro, il cui nome scientifico è borsa della spesa. Stavo già per gridarle: “Addio per sempre!”, quando un momento dopo mi ritrovai in sua compagnia. Malgrado il luogo e le circostanze, le feci un’appassionata dichiarazione. Lei mi sorrise, dolcemente e mestamente: sapeva, come me, che eravamo a un passo dall’esser condotti al supplizio, su di un attrezzo di tortura che in ogni vocabolario è indicato come fornello a gas. Ci arrivammo nello stesso momento, ma su due fuochi diversi. Io, insieme a quattro compagni di sventura, fui collocato in una sorta di vasca circolare, più nota come tegame. All’improvviso fui stordito da pesanti odori di aglio e mentuccia e persi i sensi, non prima però d’aver visto gettare la mia cara Rapa in un’altra vasca, ma dalle pareti più basse, generalmente conosciuta come padella.
     Un improvviso sciopero dei dipendenti del gas ci lasciò alquanto scottati ma vivi. Giudicati oramai immangiabili, fummo entrambi gettati nella spazzatura, dove un Cavolo e una Patata, anche loro lessati a metà, furono i nostri testimoni di nozze. Con il loro aiuto, non ci fu difficile evadere dal secchio della spazzatura.
     Una volta tornati liberi, ci sistemammo in una casetta piccina, ma tutta nostra. La mia cara Rapa è sempre bellissima, anche se in testa non ha più il suo bel pennacchio verde perché le fu tagliato crudelmente prima di gettarla nella padella, e anche il suo abituccio bianco è purtroppo cosparso di indelebili macchie d’unto. Anch’io ho dovuto privarmi di alcune dozzine di foglie bruciacchiate, ma vi assicuro che faccio ancora la mia figura. Dopo tutto, poteva anche andar peggio.

      Ecco perché dico a lei, caro Direttore, e soprattutto ai suoi lettori, che non bisogna disperare neanche nelle peggiori circostanze.  La saluto distintamente e mi firmo

 Suo devotissimo Carciofo